giovedì 1 dicembre 2016

Riforma costituzionale, tanta disinformazione tra chi dice sì e chi dice no, a pagare è la Costituzione


Mancano pochi interminabili giorni alla fine di una campagna elettorale tra le peggiori che l'Italia abbia mai dovuto sopportare. Questa battaglia referendaria è stata molto peggio delle ultime campagne elettorali.





Si è dovuti sopportare presenze continue in tutti i mezzi informativi, bombardamenti mediatici di livello tanto basso quanto quello della discussione sul tema.

Abbiamo ascoltato tante bassezze sia dal punto di vista logico, che argomentativo. Tante discese in campo di chi si schiera con il sì e chi si schiera con il no. Nessuno che entra nel merito della riforma costituzionale.Semplicemente perché c'è voglia di cambiare, indipendentemente se quel cambiamento sia positivo o negativo. Non ultimo Romano Prodi che ha dichiarato il suo voto per il sì, pur non nutrendo pensieri positivi sulla riforma (?!). Una campagna elettorale dispendiosa dal punto di vista economico, sociale.

Perché una riforma appartenente solo a un Partito, il Pd e trattata sia a livello mediatico che in campagna elettorale, come una questione di partito non può che dividere e spaccare il Paese. E se una legge o una riforma ordinaria può comunque essere sanata, quella costituzionale intacca profondamente gli equilibri e apre una frattura che può essere insanabile.

Tra pochi giorni sarà finalmente finita e saremo a raccogliere i cocci di quello che rimane del Paese, e della sua credibilità, indipendentemente dal risultato.

Vi anticipo una cosa importante: il bombardamento mediatico che c'è intorno al voto referendario è più utile ai politici che hanno proposto tale cambiamento che altro. Il sì serve a Renzi per affermare totalmente la propria leadership, rafforzare il proprio potere ed entrare di diritto nella storia d'Italia. Il No è un miscuglio di posizioni più o meno variegate, alcune non c'entrano nulla con il merito della riforma, altre sono per un semplice no al governo. C'è chi difende la costituzione e chi la propria posizione. Tante facce della stessa medaglia.



Endorsment di valore 


Intanto questa riforma ci è stata posta in tutte le forme: necessaria per evitare un governo 5 stelle; per evitare che Salvini acquisti consensi; per non far tornare Berlusconi; per evitare l'impennata dello Spread e far star calmi i mercati. Per far piacere le banche.

Molti votano sì perché non vogliono votare come i Salvini, 5 stelle, Berlusconi ecc... Molti votano NO per lo stesso motivo: mandare a casa Renzi, non votare come Verdini ecc ecc...

Vip e persone dello spettacolo si sono spese per dichiarare il proprio voto. La motivazione per cui persone che non sono del campo, si espongano a esprimere pubblicamente il proprio voto e il perché, adducendo alle loro motivazioni questioni nulle o discutibili, mi è incomprensibile Ma questo è il Paese che ci troviamo...


La campagna delle offese 


Abbiamo poi assistito a offese di tutti i tipi dall'una e dall'altra parte, dall'accozzaglia di Renzi (come se il suo Governo non fosse frutto di quella stessa accozzaglia) al Killer del futuro dei nostri figli di Grillo. Poi c'è stato Vincenzo De Luca che ha insegnato a tutti come si fa politica dalle sue parti, e un po' spiega, se quello è il metodo, i consensi plebiscitari che ha sempre avuto, per la gioia dei venditori di pesce.

Votare perché qualcuno ci dice di farlo; votare in un modo perché io non voto come quel politico o quel personaggio, è la motivazione più disarmante, tenendo conto l'oggetto del referendum e forse questo rafforza la tesi di David Van Reybrouck e al suo libro Contro le elezioni di cui vi ho parlato qui.

In Italia si è dato vita al peggiore spettacolo degli ultimi decenni, anzi, credo che mai un voto sia stato sottoposto a pressioni così strumentali e depistanti. La campagna elettorale americana ha insegnato molto, trasformando tutto in una gara a chi la spara più grossa. In Italia con venti anni di Berlusconi ci eravamo abituati a tutto, ma addirittura la presenza mediatica di Renzi ha superato anche i record del passato.

Verrebbe quasi da non votare, perché non si crede più al fatto che le cose possano cambiare, o al valore del singolo voto oppure perché questo referendum, così come la campagna elettorale e la riforma non cambino nulla. Però l'oggetto della riforma è comunque una decisa modifica della nostra costituzione. Ho sempre pensato che astenersi non fosse mai la risposta, mai una scelta.

Ora tratterò un po' del metodi, perché anche di questo bisognerebbe parlare senza tutte quelle sovrastrutture. 

Preambolo



La Riforma è stata votata per ben 6 volte in Parlamento, al Senato, la riforma è stata votata da 180 senatori su 315 elettivi il che rappresenta il 57%, mentre alla Camera da 361 deputati su 630, sempre poco oltre la stessa percentuale. Una maggioranza che divide il Parlamento, che non dobbiamo dimenticare è frutto di una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Inoltre, questa riforma l'ha prodotta un Governo risultato di una costruzione politica di Giorgio Napolitano, che ha individuato in Renzi il nuovo che potesse avanzare, contro l'ormai bruciato Bersani, il fallito Letta e l'impresentabile Berlusconi, affidandogli l'incarico di formare un Governo e di trovare e costruirsi una maggioranza che potesse sostenerlo. In pratica, un Parlamento composto secondo una legge elettorale dichiarata incostituzionale, ha votato una riforma costituzionale voluta da un governo sostenuto da una maggioranza che non ha avuto nessuna legittimità elettorale.
La Corte Costituzionale nel dichiarare incostituzionale la legge elettorale porcellum con cui si erano svolte le elezioni, aveva comunque dichiarato legittimo a operare il Parlamento per evitare un vuoto del potere legislativo. Da qui a considerarsi per lo meno costituzionalmente opportuno, operare una modifica così decisa dell'ordinamento costituzionale italiano, ce ne passa.
Perché non dimentichiamoci che la Costituzione è la regola base che dovrebbe unire il Paese, e trattarla come una questione partitica, nel modo in cui è stata trattata da Renzi, acuisce ancora di più le divisioni, qualunque sia l'esito delle votazioni.

Non si vuole propagandare l'idea di una carta costituzionale immodificabile, ma innanzitutto il governo dovrebbe avere una legittimità costituzionale, oltre che elettorale nel poter proporre una modifica della Carta, che è necessario che sia condivisa da buona parte delle forze in gioco. Non è facile riformare la Costituzione, nessuno ha detto che debba essere facile. Ricordiamoci che si sta modificando la più importante legge dello Stato e farlo a suon di slogan, domande retoriche e strumentalizzazioni demagogiche non fa bene né alla credibilità della parte che propone la riforma, né all'Italia.

Inoltre, una riforma di tale portata con la modifica di 47 articoli, non dovrebbe essere votata semplicemente con un quesito "ambiguo" e un semplice sì o no generico. Ma dovrebbe andare nel merito per essere completo. Come se ci fosse la volontà di colpire alla pancia degli elettori, senza nessuna intenzione di coinvolgerli, semplicemente perché l'interesse è quello di spingerli da una parte per mere logiche demagogiche.

Dal quesito referendario traspare questa volontà, anziché spacchettarla in più quesiti, se n'è preferito uno, perché più facile promuoverlo.

Ora passiamo al merito, con il voto sulla proposta di riscrittura costituzionale che coinvolge 47 articoli su 139 totali; con la sedicente modifica del bicameralismo perfetto e l'abolizione del Senato per come lo conosciamo ora, e l'introduzione di una Camera delle regioni, con componenti scelti tra Consiglieri regionali e sindaci.

Ci troviamo di fronte a diversi paradossi che fanno pensare a quanto vada oltre il potere del governo. Il potere esecutivo non dovrebbe avocare a sé quello costituente, che va oltre e non gli appartiene. Dovrebbe essere il Parlamento, il promotore di tale potere, ma sappiamo tutti che il potere legislativo è stato nei decenni sempre più indebolito e delegittimato a suon di decreti legge e commissioni.


Bicameralismo imperfetto



Con la riforma finisce l'era del Bicameralismo paritario, unicum nel mondo, così che il processo legislativo sia più veloce. 

È proprio così?


In realtà, mio parere leggendo la riforma, il bicameralismo semplicemente non sarà più paritario ma non finisce. Resta per tante materie e diventa molto più confuso e crea più problematiche nel processo legislativo. Si è sempre considerato il processo legislativo italiano come molto farraginoso e dalla lunghezza interminabile. In realtà, ci si preoccupa tanto della lunghezza dell'iter parlamentare quando i governi sostanzialmente bypassano le camere attraverso decreti legge e commissioni. Inoltre, attualmente di procedimenti legislativi ce ne sono due: uno per le leggi ordinarie e un altro per quelle costituzionali. Con la nuova riforma il processo legislativo diventa molto più complicato vista la confusione di competenze stabilite dall'art.70 e molti costituzionalisti hanno individuato dino a 12 processi legislativi diversi. Per non contare i rischi di conflitti di attribuzioni che intaseranno la corte costituzionale.


Con l'abolizione del senato ci sarà una riduzione dei costi, e una bella rottamazione della casta politica perché i senatori non ci saranno più, ma saranno solo 95 rappresentanti delle regioni. Essi non saranno non stipendiati.

Il senato non sparisce e non sarà più elettivo. I senatori non saranno più eletti ma nominati: 5 saranno i senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica; 21 saranno i sindaci nominati senatori; 76 saranno nominati dai consigli regionali secondo un meccanismo che favorisce le regioni a statuto speciale, un esempio per tutti la Val d'Aosta avrà gli stessi senatori delle Marche. Il senato non diventa affatto un senato delle autonomie, espressione dei governi regionali e con competenze sul bilancio, ma una vera e propria camera secondaria composta con una composizione priva di legittimazione elettorale e avrà competenze su materie cruciali come i rapporti con l’Unione europea e le leggi costituzionali e potranno richiamare le leggi approvate dalla camera per modificarle. Inoltre udite, udite, i senatori avranno l'immunità parlamentare. Il discorso del risparmio è poi alquanto generico e poco preciso, visto che il Senato produce la maggior parte dei suoi costi nel personale amministrativo che resterà praticamente identico e soprattutto i senatori avranno i rimborsi spese per i loro viaggi a Roma, cosa che non farà risparmiare nulla. Per quanto riguarda la semplificazione, vis sfido a confrontare i testi pre-riforma e post-riforma per vedere che livello di semplificazione c'è.

Con la nuova legge saranno stesso gli elettori a eleggere i consiglieri regionali che dovranno andare al Senato.
In realtà non c'è nessuna legge che prevede questa modalità. Sono proposte fatte dal governo, nel momento in cui si sta facendo forte la polemica in quest'aspetto. È comico pensare come una legge costituzionale espliciti la nomina dei consiglieri regionali da parte dei consigli e poi ci voglia una norma ordinaria per stabilire che invece quelli debbano essere eletti dagli elettori. Mi chiedo io che senso ha prima eliminare l'articolo della costituzione in cui si stabilisce che i senatori sono eletti a suffragio universale e poi rimangiarsi tutto con una proposta di legge ordinaria che tra l'altro può essere di difficile attuazione visto che le leggi elettorali regionali sono diverse tra loro e soprattutto c'è differenza tra regione ordinaria e a statuto speciale.

Centralismo vs regionalismo


Con questa riforma lo stato riprende in mano i servizi che rendono discriminatorio il Paese, curarsi in Lombardia, non sarà più diverso che curarsi in Campania e così via...

L'ennesima riforma del titolo V, in realtà fa totale retromarcia rispetto alla riforma del 2001 fatta dallo stesso centrosinistra, che ne frattempo ha cambiato idea e quindi ha deciso di rovesciarla al contrario, Se prima la riforma era orientata al regionalismo ora si ritorna a un forte centralismo, con una confusione sulle competenze e con la clausola di supremazia di interesse nazionale che limita decisamente qualunque opposizione dei comuni e delle regioni. Se il governo dovesse decidere in merito a trivelle, inceneritori, grandi opere, o a centrali a carbone e qualsiasi altra cosa, considerandoli  di interesse nazionale gli enti non potranno fare nulla.


Italicum

Con al nuova legge elettorale si saprà finalmente chi vince al termine delle elezioni e quel chi vince potrà governare stabilmente.
Sì, l'Italicum non è oggetto di referendum, ma è strettamente collegato con la riforma, in quanto se dovesse vincere il no, senza una modifica della legge elettorale, il senato sarebbe eletto secondo il Consultellum (il Porcellum modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale) che consisterebbe in un sistema proporzionale puro. Il discorso della stabilità grazie a una legge elettorale, mi meraviglia non poco, da laureato in Scienze Politiche. Negli studi politologi mi hanno sempre insegnato che non è una legge a creare stabilità, ma è il grado di frammentazione e di litigiosità delle forze politiche che misurano la stabilità o meno di un governo. Se noi pensiamo di barattare un carattere fondamentale come la rappresentatività, per dare la possibilità a un 30-40% dei voti espressi di poter governare senza problemi per 5 anni, siamo fuori strada. Perché questo vorrà dire escludere milioni di persone dall'essere rappresentate in Parlamento e conferisce al governo, in primis al Presidente del Consiglio un potere che non era nella volontà dei costituenti, ma che anzi hanno creato il sistema di pesi e contrappesi, proprio per evitarlo.

La riforma non conferisce più poteri al premier di quelli che ha già. 

Non è proprio così, con l’Italicum la riforma istituisce di fatto (ma senza dichiararlo) un premierato forte grazie alla maggioranza nell’unica camera titolare del voto di fiducia al partito che vince le elezioni,che in casi di forte astensionismo, potrà essere di fatto sostenuto da anche un misero 25 per cento del corpo elettorale. Inoltre si registra un ruolo ancora più centrale nel processo legislativo in capo al governo e al presidente del consiglio. Particolare è anche l'elezione del presidente della Repubblica che sostanzialmente potrà essere nelle mani del partito di maggioranza a partire dalla settima votazione, in caso di assenza di una parte dell’opposizione. Il rafforzamento dell'esecutivo accanto a una visione neostatalista delle istituzioni territoriali e a una riduzione del valore del voto dei cittadini, provoca una lesione del diritto di rappresentanza.

La nuova forma del Senato e le sue competenze crea poi un ulteriore problema nella riforma. La possibilità che una eventuale modifica della costituzione, possa essere molto difficile quasi impossibile, a causa del Senato che, composto in maniera slegata al potere di disciplina della maggioranza e del governo, renderebbe davvero difficile possibili modifiche costituzionali e quindi questo potrebbe rendere molto complicato modificare in futuro la riforma.

È inequivocabile che da questa riforma non difficilmente si potrà tornare indietro. Una riforma che lascia tanti dubbi e perplessità, sia nel metodo che nel merito. Un'occasione sprecata per avviare un processo costituente condiviso magari dopo una tornata elettorale in grado di dare legittimità popolare alla maggioranza.

In questo modo vicne quella politica slegata alla realtà, che crede che revisionare la costituzione per meri fini di calcolo politico e opportunistico, possa essere la priorità in un Paese che sia a livello sociale, che occupazionale è ormai allo sbando ed è stanco di affidarsi sempre al meno peggio. Se a livello politico si sta sempre più ragionando con il votare il meno peggio, in tema di costituzione questo tipo di logica non si può seguire.

Perché di meno peggio, in meno peggio si arriva inesorabilmente a toccare il fondo.

Davanti a questo pericolo, non si può che rispondere con un deciso e perentorio NO!


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