lunedì 6 giugno 2016

La politica morta che vive in funzione delle elezioni e per le elezioni



Il periodo delle elezioni amministrative è sempre un momento particolare: città e comuni che si agitano per la corsa alle preferenze e alla ribalta comunale, con persone da sempre distanti alla politica e a qualsiasi interesse generale, che si affannano per convicere e convincersi, cercando voti e preferenze, con una faccia tosta e pelo sullo stomaco senza eguali.



Queste elezioni amministrative non sono state da meno. 
Ho sempre considerato la corsa alle elezioni locali come un qualcosa di distante alla concezione generale di politica, lontana dalle idee e dalle ideologie dei partiti e più referente ai singoli candidati.
In realtà, devo correggere questa mia concezione, infatti, lo specchio dell'Italia e nello specifico, della politica in Italia, sono proprio le elezioni locali, l'attaccamento al singolo candidato, indipendentemente dalle sue opinioni politiche e dal programma inconsistente. La differenza è che nelle politiche il referente ha un livello superiore di collegamento, l'interesse non è legato direttamente sul territorio, ma a un piano più alto e quindi più rarefatto, ma la concezione è la stessa sebbene a livelli diversi.
Se è l'interesse a muovere le cose e non l'utopica vocazione a gestire in maniera equilibrata la cosa pubblica, guidata da una visione comune, allora si spiega lo stato attuale dell'Italia. Se i più furbi e disillusi mi danno dell'illuso, perché considerano in realtà anche quando c'erano i presunti ideali a farla da padrone, le cose funzionavano sempre allo stesso modo, allora non faranno che dare forza a questa tesi (mi scuso invece se la considererete abbastanza banale e ovvia).



Vincere e vinceremo 


È scontato considerare il fine ultimo di quello che ancora ci affanniamo a considerare politica, la ricerca della vittoria delle elezioni, vincere per vincere, a qualsiasi costo con qualsiasi mezzo. Molti individui a livello locale sono elogiati con la definizione di essere "delle strabilianti macchine politiche", perché capaci di vincere le elezioni, racimolare sempre grandi quantità di voti e restare in piedi, in qualsiasi modo. In realtà, questa mi sembra più strategia "alla Underwood" di House of cards, con magheggi, trame dietro alle quinte, tradimenti e doppio gioco, per fregare qualche alleato ingenuo  e far vincere qualcun altro che può assicurare più voti e un miglior tornaconto.

È l'accezione di "macchina politica" a livello locale, che poi in continue proiezioni  si riflette a livello nazionale.

Ci si dimentica che il fine sarebbe governare e magari mantenere qualche promessa fatta durante la campagna elettorale, invece si pensa già alle prossime elezioni.
Questa finta politica ha come unico pensiero, quello esclusivo della riproduzione di se stessa, elezioni dopo elezioni, chiunque sia l'alleato, indipendentemente dalle idee, serve solo vincere.

 

Esperimento locale, anche a Villaricca il Partito della Nazione



Una esperienza diretta è quella del mio Comune, Villaricca, un piccolo Paese in provincia di Napoli con oltre 30mila abitanti e politicamente dominato negli anni dalla figura di Raffaele Topo, deus ex macchina della politica del Paese e figura rilevante del Pd napoletano e campano (è consigliere con delega alla sanità). In questo comune, con l'eccezione del Pd nelle elezioni amministrative sono spariti tutti i simboli di partiti, mentre sono sorte solo liste civiche. La strategia è presumibilmente quella di creare una maggioranza fluida mascherando gli apparentamenti negli schieramenti. I due maggiori candidati, espressione di fazioni del Pd, si sono apparentati con altre liste civiche, creando dei mini partiti della nazione, con esponenti storici delle fazioni avverse.
Nello specifico, nella coalizione di Maria Rosaria Punzo, divenuta prima donna Sindaco di Villaricca al primo turno, si sono accalcati candidati di tutte le estrazioni politiche, sia di destra che di centrosinistra. Solo 5 anni fa, gli stessi personaggi che hanno ora corso a braccetto per la vittoria comunale, si azzannavano considerandosi reciprocamente il male assoluto.
Ma i buoni uffici e la vista lunga di quella "macchina politica" (vd sopra) che è Topo, hanno orchestrato questo scenario per poter garantire ancora una vittoria. Indipendentemente dalla coalizione che si è andata a creare,  conta vincere. Perché le idee sono decisive, ma fino a un certo punto, perché conta soprattutto quanti voti si è capace di portare. Solo i prossimi cinque anni sapranno dirci che cambiamento porterà la Punzo, trainata dallo slogan (#Orasipuò) e se una maggioranza così differenziata potrà essere capace di governare insieme e non causare immobilismo.
Villaricca è specchio dello scenario nazionale, quel "Partito della nazione" che ha cancellato qualsiasi differenza formale tra le forze politiche. 

A livello nazionale sembra il solito discorso, quello che si fa alla fine di ogni tornata elettorale, quando ci si trova a fare la veglia funebre alla Repubblica, uccisa da tante parole vuote e dagli stessi atavici problemi.

Queste elezioni e i risultati hanno mostrato alcuni dati inequivocabili:

1)Disaffezione dei cittadini alla politica

 

L'affluenza in tutte le grandi città è in forte calo (tranne Roma), questo conferma una stanchezza e una disaffezione dei cittadini alla politica che nemmeno i partiti "antagonisti" e le liste nate dalla protesta riescono a coinvolgere.

2) La fine dei partiti 4.0

 













Gran parte delle città hanno visto i candidati presentarsi in miriadi di liste civiche. Partiti che fino a pochi anni fa dominavano le elezioni a livello locale sono del tutto spariti e hanno perso. La poca affluenza però dimostra che oltre alle parole e alle mancate promesse, nemmeno le liste civiche riescono a scaldare il cuore degli elettori. Se il fedelissimo di un tempo, anche scontento, considerando impossibile l'astensione, avrebbe votato il simbolo senza candidato, oggi l'idea di partito, che sia quello tradizionale o la transitoria lista civica trainata dal candidato, non riesce a mascherare il pensiero di buona parte degli elettori che li vede come esclusivi contenitori di voti e portatori di interessi particolari e nulla più.

3) La Leopolda resta a casa


Il Pd esce con le ossa rotte da questa prima tornata, soprattutto nelle grandi città. Dimostrazione che il renzismo a livello locale non attecchisce perché sembra non avere lo spessore politico tale da legare i candidati al territori. 

4) I Cinquestelle

 

 

L'affermazione della Raggi a Roma dimostra tanto: i cinquestelle hanno conquistato uno zoccolo duro di elettorato che rimane costante e che poi viene aumentato a seconda dei contesti. Roma veniva dallo scatafascio Alemanno (che in pochi ricordano come periodo che ha dato vita a Mafia Capitale) e dalla trappola PD - Marino, quindi era facile aspettarsi l'affermazione di un voto alternativo, che è troppo semplicistico bollare come di protesta. La politica (sedicente) "di proposta" in questi anni di governo a Roma ha portato solo grandi danni alla città. I cinquestelle è giusto che abbiano l'occasione di dimostrare le proposte e il loro modo di governare, sempre cche al ballottaggio il Pd non faccia l'exploit. Se Renzi a livello locale non va, i Cinquestelle sono l'inverso.

5) La destra che non c'è


Tutti sottolineano che la divisione a destra ha causato la sconfitta annunciata. In realtà quella divisione è frutto di inconsistenza di quei personaggi che ormai hanno disilluso anche i loro elettori. Berlusconi è ormai finito politicamente, la Meloni non ha alcun tipo di caratura per poter sperare di fare da alternativa e Salvini ha visto fallire il suo progetto nazionale.  La sua Lega si è trasformata in un movimento/partito non più di estrazione localistica e ha pagato nei risultati molto deludenti di questa tornata. Il "Le Pen" in salsa italiana (avariata) cosa si inventerà per rinnovare ancora una volta i suoi slogan demagogici e pericolosi? I critici a oltranza dei cinquestelle dovrebbero ringraziare la Raggi, perché senza la sua affermazione la Meloni poteva approfittarne per conquistare la Capitale.

La lunga strada verso il referendum

Renzi in odore di debacle, si è già prima delle elezioni affannato a sottolineare che il voto locale non sarebbe stato un voto al Governo e ha poi forzato il significato del referendum di ottobre indicandolo come decisivo per suo esecutivo.

Un discorso pericoloso perché dimostra ancora di più quanto un politico, sorto da un'elezione locale, non si importi molto dell voto locale e che con le sue parole,snatura un referendum fondamentale come quello di ottobre. Come al solito il personalismo fatto di slogan, rischia di creare ancora più danni al nostro Paese, non favorisce un sano dibattito politico e strumentalizza per l'ennesima volta il referendum costituzionale che intacca inesorabilmente l'ordine costituzionale dell'Italia, trasformandolo in un plebiscito ad personam.

L'ennesimo personalismo dopo il ventennio berlusconiano di cui l'Italia non aveva bisogno 

mercoledì 1 giugno 2016

#Almaviva storia di una crisi perpetua e certificata

L'esito delle trattative di Almaviva tanto decantato dai media scongiura gli esuberi nel breve periodo, ma non risolve alcun problema, stringendo in una morsa ancora più stretta i lavoratori nel coro trionfale unanime di governo e sindacati.

Almaviva: trovato l'accordo, salvi i tremila lavoratori. Tutti gli esuberi scongiurati.

Abbiamo salvato i lavoratori Almaviva. L'ennesima dimostrazione che il Governo mantiene le promesse.

Dev'essere davvero difficile svegliarsi dopo una giornata difficile di protesta con titoli del genere e il trionfalismo di Renzi.





Più o meno con quella faccia si saranno alzati tutti i lavoratori almaviviani quando hanno letto dell'accordo e dei toni trionfanti di tutti i media nazionali che commentavano la salvezza dei lavoratori. 
Foto di sindacalisti trionfanti e tg nazionali annunciavano il salvataggio dei lavoratori.

Nessun esubero in Almaviva e un plauso al lavoro di viceministro Bellanova

Tutti soddisfatti.

Si festeggiava anche tra i lavoratori tra caviale e champagne per tutti.

Dopo un po' che la sveglia inizia a rendersi più chiara e si inizia a capire bene quello che è successo, si analizza l'accordo firmato e controfirmato dalle sigle sindacali e non puoi non ricordarti di quando la disillusione di quel lavoratore arrabbiato diceva: 
Vedrai questa notte sarà il momento giusto, saremo andati tutti via e loro firmeranno. Firmeranno qualsiasi cosa, ci venderanno e la faranno passare per una vittoria.




Con il senno di poi non gli si può dare torto. Questa firma rappresenta un gioco a somma positiva per tutti: il Governo ha impiegato due ore per trasformare il risultato in un grande spot elettorale, perché #MatteoRisponde #DalleParoleAiFatti

L'azienda ha ottenuto tutto quello che voleva: certificazione scritta della crisi e degli esuberi sui tre centri, copertura della solidarietà solo sui tre centri, cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, formazione pagata dallo stato, maggiore flessibilità nella gestione degli istituti, ulteriore potere ricattatorio nei confronti dei lavoratori in occasione del periodo caldo estivo, tutto in vista della grande fuga che è già in preparazione.

I sindacati hanno salvato i posti di lavoro, diranno: non potevamo assumerci la responsabilità di mettere tremila persone per strada, avevamo l'obiettivo di assicurare la continuità tra i vari ammortizzatori, abbiamo ottenuto dei tavoli ministeriali per risolvere le criticità del settore, in diciotto mesi il Governo ha il tempo per risollevare il settore.

Tutti contenti e soddisfatti.

E i lavoratori sono salvi?

 

Gli esuberi certificati che (per ora) si sono visti scongiurare il licenziamento si trovano davanti un accordo che sostanzialmente avevano bocciato nelle votazioni di tre settimane fa. Infatti, dopo il primo incontro al Mise come già scritto qui, si doveva decidere su un accordo che prevedeva proprio queste condizioni: sei mesi di solidarietà, 12 mesi di Cassa integrazione in deroga e altre belle condizioni poste a guarnizione di questa torta poco invitante. 

La differenza sostanziale, quella che i sindacati sottolineano come grande vittoria è la continuità degli ammortizzatori, senza necessità di avviare ancora una procedura di mobilità.

In sostanza però l'accordo non risolve nulla, non salva nessuno, ma per l'ennesima volta rimanda.
I lavoratori continueranno in quello stato di invivibile precarietà fatta di flessibilità e terrorismo aziendale ad horas, con prospettive lavorative pari a zero e nella speranza che i tavoli governativi riescano a salvare un settore in crisi irreversibile.
Si parla di irreversibilità, perché fino a quando le leggi attuali non si fanno rispettare, come l'articolo 24 bis che prevede l'obbligo per gli operatori di permettere una scelta da parte dell'utente, della provenienza del assistente con cui parlare, fino a quando non verranno fatte rispettare quelle leggi che puniscono le aste al massimo ribasso e fino a quando non verranno coinvolti nella discussione quegli operatori commitenti che continuano a inviare chiamate all'estero, preferendo il lavoro malpagato e per nulla garantito e protetto del povero di turno ai margini del "mondo che conta", non si troverà una soluzione seria al problema. 

Rimando


Si continua a rimandare perché il momento è delicato, c'è la campagna elettorale da difendere. Gli slogan fanno bene all'immagine di un Governo che ha snobbato per mesi la protesta dei lavoratori e che l'ha relegata a questione secondaria, con il vice ministro sorpreso del no dei lavoratori al primo accordo e che non ha fatto che riproporre per tutta la trattativa, la stessa identica proposta.

A questi tavoli di confronti, si dovrebbero affidare i lavoratori e sperare che in  6 mesi più dodici di cds e cigs, qualcosa possa cambiare, oltre ogni pressione sempre più forte, umiliazione e terrorismo psicologico,
Perché se qualcosa non cambierà, la problematica sarà sempre la stessa, con la differenza che gli esuberi saranno certificati e i tre centri oggettivamente in crisi e con tagli inevitabili.
Diciotto mesi molto distanti, anche troppo, ma sufficienti  per far dimenticare i titoli, le foto e i post trionfalistici.
In quel momento la strategia tanto temuta verrà a galla.

Ma la memoria di tutti avrà dimenticato anche questo. Saremo pronti per l'ennesimo giro sulla giostra.
Pronti per l'ennesimo slogan e per l'ennesima campagna elettorale, mentre il lavoro è ancora in fuga verso l'estero e il Titanic dei lavoratori che affonda.

Sperando che il grido #AlmavivaNonSiTocca sia più forte dello sconforto e della disillusione.