domenica 22 novembre 2015

Perché dire no alla guerra non è buonismo

Siamo in guerra. Loro sono in guerra.
Non solo dagli attacchi di Parigi, la guerra viene da molto più lontano. Come ormai è stato già detto, in Mali, la Francia è sul campo, o sui cieli, dal 2012. Afghanistan, Iraq, Libia dimostrano che quando viene meno uno stato nazionale con la forza, il terrorismo dilaga.
Siamo in guerra. Loro sono in guerra, ma non dal 13 novembre.
#NotInMyName in questo momento è per me più che mai attuale. Ci ripetono che siamo sotto assedio. Tante voci si affrettano a specificare che non è una guerra contro l'Islam, altre invece urlano il contrario, tacciando gli altri di buonismo.

Perché questa volontà di dipingere gli eventi come una guerra di civiltà a tutti i costi?


 

Entrambe le parti che vogliono dipingere questa come una guerra di civiltà vogliono limitare le libertà. Gli allarmi e l'allarmismo ormai dilaga. Ci ripetono che il terrorismo si combatte con più controlli.Anche François Hollande l'ha detto, per difendere le nostre libertà si andrà oltre ogni provvedimento. Anche a costo di limitare quelle libertà che tanto proteggiamo.

Poi ci sono le dimostrazioni di forza e i bombardamenti su Raqqa sono un misto tra risposta di pancia, tra calcoli per le elezioni regionali e il "ricatto" del Front national e qualche punto interrogativo sulla sicurezza.


Noi europei ci siamo abituati a vedere le guerre in tv. In effetti oltre agli attentati del ventunesimo secolo, il dopoguerra e il processo di unificazione europea ha regalato all'Occidente (che sostanzialmente è la parte del mondo che conta) un periodo di sostanziale pace.  
Aumentano però i controlli e le limitazioni dei diritti civili. 
Il clima di tensione è sempre stato uno strumento per fare scelte politiche improponibili in altri contesti e il generale aumento dello spirito nazionalistico tende sempre di più a chiuderci all'interno e a vedere l'esterno come il nemico.
In realtà nei casi parigini, il nemico viene dall'interno.
Fanno "sorridere" le solite interviste a persone di fede musulmana e la solita domanda "cosa ne pensa degli attentati di Parigi?" Così come tutte le richieste di dimostrazioni e manifestazioni di disocciazione da parte della società civile islamica in occidente. Come se solo l'essere musulmano sottintenda che si debba essere rappresentati da quella migliaia di terroristi. Così come alcuni politici con le loro vomitevoli strumentalizzazioni non rappresentano gli italiani, non si dovrebbe scendere in piazza per sottolinearlo una volta di più.
Dopo le stragi,  Igiaba Scego aveva definito benissimo in un suo tweet cosa sono quei terroristi.


Non credo all'ideale di pace universale. Il conflitto è insito nell'animo umano e nella logica di rapporti tra stati, l'interesse economico impera. Dire no alla guerra, non vuol dire essere buonista, non significa accettare il terrorismo, o soffocare il cordoglio, il dolore o la rabbia per tutto quello che è successo. Dire no alla guerra significa, condannare e combattere il terrorismo, ma resistendo alla paura e alla voglia di vendetta. Perché trattare il terrorismo come è stato trattato fino a ora, crea soltanto caos e moltiplica il pericolo, generando quel circolo vizioso che produce il mostro da combattere.



Dire no alla guerra significa non piegarsi a quegli interessi economici che mettono in moto tutte le nostre paure e che ci vengono mascherati dietro ideali. Perché il problema è sempre lì, la rincorsa alle risorse economiche, il futuro geopolitico di zone importanti per l'economia occidentale
Il direttore di Mauro nell'editoriale di questa settimana su Internazionale, ha citato una frase del poeta francese Paul Valéry, che parla della guerra e forse descrive molto bene questo periodo, fatto di paure, tensioni, speranza e illusioni, condite da nazionalismo d'année.

La guerra è un massacro tra persone che non si conoscono a vantaggio di persone che si
conoscono ma non si massacrano.

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