sabato 11 aprile 2015

#LaDedicaDellaSettimana n.1 si muore nel silenzio, dal Kenya passando per #SaveYarmouk

È ora di organizzare per bene questo blog, affinché possa rappresentare un'interpretazione coerente del mondo che mi circonda più comprensibile possibile.
Per questo, è necessario che venga organizzato in maniera più  precisa e ordinata e che contenga oltre i soliti post occasionali anche una serie di "rubriche" a cadenza periodica settimanale, con argomenti che scandiranno il tempo e lo spazio di Anarcolessia.
Saranno una serie di finestre che aiuteranno me e chi avrà la pazienza di seguirmi a organizzare meglio gli argomenti  per riuscire a trasmettere un messaggio coerente e chiaro.

Quale giorno migliore per iniziare se non il sabato con due dediche un po' sui generis.
La dedica è per modo di dire, in realtà sono pensieri, che serviranno a poco se non a mantenere alta l'attenzione su situazioni devastanti che troppo spesso dimentichiamo.

Più che altro si lavora sulla memoria, perché dimenticando si finisce per ammazzare due volte.

Ecco a voi,

La dedica della settimana

Dal titolo si capisce che sarà una rubrica per i distratti, sbadati che semplicemente non ci fanno caso. Siamo tutti oggetto di manipolazione e disinformazione organizzata. 
Le notizie sono semplici fatti, sta a chi informa diffonderle e manipolarle. 
La narcolessia mediatica è proprio quella che ci propinano quelli che oscurano e manipolano il mondo dell'informazione.
Cercare di uscire da questo sistema perverso è dovere di qualsiasi essere pensante.
 
La dedica invece va gli ultimi della classe, quelli in fondo alle classifiche del mondo che sono indietro anche nella gerarchia della morte. 
Perché un conto è morire in Occidente e un altro è farlo in Africa.
Nel continente che non conta si viene dimenticati velocemente.
Idealmente questa rubrica è dedicata a loro. 


La Strage in Kenya

   

Dalla strage sono passati dieci giorni. Il terrorismo colpisce dove non te lo aspetti. È dimostrato che,  per l'Occidente, se le tragedie non vedono coinvolte direttamente vittime occidentali, assumono un'importanza secondaria e possono essere considerate di secondo piano.
L'Africa ha sempre avuto questo trattamento.
Così come il massacro in Kenya che, da quando un commando dell’organizzazione terroristica Al Shabab  è entrato all’Università di Garissa e ha sterminato 147 studenti cristiani dopo averli separati da quelli musulmani, è stato occultato da tanto silenzio dopo l'indignazione iniziale. Di altri circa 166 studenti che erano all’interno della struttura non si sa nulla sebbene le autorità abbiano smentito che ci siano dei dispersi.

In sostanza, questo atto atroce di violenza è stato un attacco per il ruolo svolto nella guerra in Somalia dalle truppe keniote dove Al Shabab vuole stabilire un califfato islamico.

La situazione in Somalia del continente è ormai fuori controllo.

La strage è passata sotto un sostanziale silenzio mediatica.

In rete si critica tanto la differenza di trattamento riservata alle vittime di Charlie Hebdo, con le massime cariche mondiali in marcia a Parigi e il successo dell'hashtag su Twitter  #JesuisCharlie.


LEGGI ANCHE: Essere Charlie Hebdo, Ahmed e gli altri ostaggi

È inevitabile pensare che nessun politico sia arrivato a Nairobi per far sentire la vicinanza allo Stato keniota, nessun Capo di Stato ha omaggiato le vittime e nessuna campagna mediatica di personaggi famosi ne ha inneggiato la memoria.

Le vittime dell'Università di Garissa sono morte nel terrore dell'indifferenza mediatica dei potenti della terra e dei media, che come al solito hanno rincorso il silenzio generale.

Questo ragionamento non deve però scatenare l'effetto contrario, non deve cioè portare a sminuire quello che è statoil significato del messaggio di Je suis Charlie Hebdo.

Quello che si è ripetuto anche in questo blog, nonostante le critiche forti ricevute dal giornale, è che la libertà rivendicata da Charlie Hebdo è quella di tutti di poter esprimere la propria opinione, liberamente, senza il rischio di essere assassinati.

La libertà di fare satira, la libertà diesprimersi, di professare la propria religione, di non professarne affatto sono diritti di ogni singolo uomo.

Per questo la prima dedica di oggi va ai morti di Garissa, perché almeno in questo blog i 147 corpi non sono solo un numero

#147notjustanumber

#JeSuisKeny



Save Yarmouk

Per sapere cosYarmouk, spegni l'energia elettrica, chiudi l'acqua, il riscaldamento, mangia una volta al giorno, vivi al buio, sopravvivi bruciando legna
Anas, residente di Yarmouk
Quella che si combatte a Yarmouk è un massacro. 
Che la Siria fosse un contesto vicino all'implosione era noto, i singoli contesti in cui si combatte però lasciano senza parole.
E poche sono quelle che si dedicano a drammi umanitari come quelli del sobborgo alle porte di Damasco, il campo profughi palestinese di Yarmouk, stretto nella morsa di fuoco dello Stato islamico da un lato e le forze governative dall'altro.
Il Guardian qui descrive una situazione agghiacciante i cui resoconti rendono solo in parte l'idea dell'orrore che si vive in quella che è stata definita una nuova Srebrenica in cui i Serbo bosniaci trucidarono 8000 musulmani.
Nel campo di Yarmouk ci si sta avvicinando a quell'orrore.
Da due anni, uando erano circa 200.000 le persone che vivevano in condizioni di fame senza elettricità, senza acqua potabile né cibo presi nel pieno della battaglia tra Isis e Assad si è passati alle attuali 18.000, presi dagli stenti della fame e dagli orrori compiuti dai miliziani dello Stato islamico che hanno conquistato gran parte del campo.
Una situazione che va oltre il disumano, tra esecuzioni sommarie, decapitazioni e rapimenti. 
Migliaia di civili cercano ogni giorno la fuga verso i campi vicini, molti muoiono, altri non riescono neanche a morire dignitosamente perché bloccati nell'inferno.
Da quando è iniziato l'assedio al campo si vive tra cadaveri, macerie, fame e violenza.
Più di ogni retorica parola, a descrivere l'orrore sono le testimonianze video, audio e fotografiche di chi quel terrore lo sta vivendo sulla propria pelle trasmesse sul sito del Alto Commissariato  #SaveYarmouk
All'interno del campo sono in trappola almeno 3.500 bambini e oltre 10.000 adulti, senza cibo né acqua o medicine. 
A causa dell'assedio, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non neanche riesce a consegnare gli aiuti umanitari.
Oltre la guerra, la violenza ci sono fame e  malattie.
Una situazione che è comune a tanti campi palestinesi e che a Yarmouk è estremizzata all'ennesima potenza.
L'Olp ha dichiarato che non intende farsi coinvolgere nella guerra contro l'Isis a Yarmouk.
In realtà i palestinesi già combattono.
Cosa fa la Comunità internazionale?
Per citare De Andrè, si costerna, si impegna, si indegna poi getta la spugna con gran dignità.
Nessuno vuole impelagarsi in una situazione che è una una trappola da cui sarebbe poi difficile uscirne.
Meglio guardarli morire.
Anzi, voltiamoci dall'altra parte così i sensi di colpa saranno minori.
   
La seconda dedica quindi va alla gente di Yarmouk
Perché si parli di questo massacro che avviene alla luce del sole e di notte nel terrore della violenza, della fame e nelle malattie vissute da migliaia di bambini senza futuro, condannati a un'esistenza atroce, di cui la storia ci renderà presto il conto.   

 

 




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